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L'entrata trionfale di Cristo in Gerusalemme - sermone - Domenica delle Palme

 

Ascolta il sermone

GRAZIA A VOI E PACE DA DIO NOSTRO PADRE E DAL SIGNORE GESÙ CRISTO.


Questa domenica è conosciuta come la Domenica delle palme. Ma il Dr Martin Lutero in uno dei suoi sermoni aveva suggerito di chiamarlo in un altro modo: la Domenica dell’entrata trionfale di Cristo in Gerusalemme. Perché, più dei rami d’albero e i mantelli sulla via, più delle cose che si vedeva fare la folla – senza voler sminuire l’onore che hanno dimostrato al Signore Gesù – vogliamo ascoltare ciò che dicevano di Gesù quel giorno, e anche perché lo dicevano.


Sentiamolo un’altra volta: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi


Ed ecco che entra in Gerusalemme su un asinello. Alla folla sarà certamente venuta in mente quella profezia di Zaccaria citata dall’apostolo Matteo. Zaccaria aveva scritto “Ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e porta salvezza, umile e montato sopra un asino, sopra un puledro d'asina.” La profezia era in realtà ancora più antica di Zaccaria: l’aveva già ricevuta il patriarca Giuda da suo padre Giacobbe secoli prima. Giuda era l’antenato di Gesù. Così diceva la profezia di Giacobbe: “Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Sciloh;” cioè, il Messia. “E a lui ubbidiranno i popoli. Egli lega il suo asinello alla vite e il puledro della sua asina alla vite migliore.” (Gen 49:10-11).


La folla risponde a Cristo sull’asinello con le parole del Salmo 118 “«Osanna al Figlio di Davide!»,” un saluto davvero particolare. Perché “Figlio di Davide”? Perché a re Davide, pure lui della tribù del patriarca Giuda, Dio aveva promesso un discendente che avrebbe regnato in eterno (2 Sam. 7), cioè il Messia d’Israele. “Egli è giusto e porta salvezza, umile e montato sopra un asino.” Un re giusto era stato promesso al popolo, prima a Giuda, poi a Davide, un re che avrebbe portato salvezza. Un re potente per liberare il popolo. Poteva essere stato Salomone? Lui era uno dei figli di Davide, ma nella sua cerimonia di intronizzazione, re Davide l’ha fatto cavalcare sulla sua propria bestia da soma, sulla mula stessa del re. Tutto l’Israele dell’epoca aveva capito attraverso questo gesto il segno certo della volontà del re di far salire sul trono suo figlio Salomone, e nessun altro. Salomone è diventato re di Israele. Ma era entrato in Gerusalemme a cavallo di una mula, non di un asinello. Non corrispondeva alla profezia. Inoltre, più tardi quel figlio di Davide è caduto in peccati grossolani di idolatria. Salomone non era il Messia, non era il discendente giusto per il trono eterno di Davide. Ma le promesse di Dio fatte attraverso i profeti si sarebbero comunque concretizzate. Ce ne sarebbe poi stato ancora un altro Figlio di Davide giusto e salvatore, più tardi. Il popolo di Israele l’avrebbe sicuramente potuto distinguere. E oggi la folla aveva visto in Gesù il compimento di queste profezie.


Un’entrata davvero senza pompa, senza sontuosità quella sua in Gerusalemme, se ci pensiamo. Gesù, che vi ricorderete era nato in una stalla, ora fa il suo ingresso da re in Gerusalemme senza la gloria dei re del mondo. Non su un cavallo di battaglia, simbolo di potere e autorità, ma su un asinello. Non con oro e argento, ma mansueto e umile. Non con un esercito, ma con una semplice folla intorno a lui. Questo re è diverso dagli altri. Non si vuole occupare del governo di un regno terreno, di organizzare l’economia in un certo modo, di accumulare beni e ricchezze qui sulla terra. Per quello ci sono i re terreni. Invece, questo re entrato in umiltà si occupa di preparare per noi un posto nel suo regno celeste, di insegnarci a diventare eredi del regno di Dio. Questa è la vera natura del suo regno.


Quindi, quale sarebbe la lezione da trarre dal testo di oggi? Visto il suo esempio di umiltà, uno potrebbe immaginare che, per poter accontentare Dio, un cristiano debba essere povero e debba rifiutare la ricchezza. Infatti ci sono persone che ci credono, e pensano di meritare la benevolenza di Dio con un tale atteggiamento. Ma questo è sbagliato. Né l’essere povero, e nemmeno l’essere ricco, cambia nel modo più assoluto la nostra situazione davanti a Dio.


A causa della nostra peccaminosità, siamo tutti completamente incapaci di compiacere Dio. Nessuna delle nostre opere è priva di impurità e peccato. E ogni nostro tentativo di giustificarci davanti a Dio, di compiacere Dio in base a ciò che riteniamo sia un’opera buona e pia da parte nostra, finisce per essere un affronto a Dio. Non sono le nostre opere ciò che soddisfa Dio nella Sua esigenza di santità. Il salmista dichiara: “Salva, o Eterno, perché gli uomini pii son venuti meno, e i veraci sono scomparsi in mezzo ai figli degli uomini. Ciascuno mente al suo prossimo e parla con labbro adulatore e con cuore doppio” (Salmo 12:1-2). Questo Salmo parla sicuramente anche di me e di te, e ci mette in una situazione di debitori davanti a Dio.


Né tu né io corrispondiamo alla descrizione del Messia promesso da Dio nelle profezie - c’è voluto un altro che potesse avvicinarsi a Dio al nostro posto, a nome nostro, per noi. Uno che in modo inconfondibile corrispondeva a tutte le profezie dell’Antico Testamento. La nostra salvezza non si basa su ciò che facciamo noi, ma su ciò che ha fatto Cristo per noi, sull’opera di salvezza che Lui ha portato a compimento al nostro posto. Lui, in umiltà, non è venuto per essere servito, ma come servo, per servire. Infatti c’era anche un’altra profezia che nostro Signore Gesù stava adempiendo in quell’occasione.


La domenica scorsa abbiamo sentito il racconto di Abraamo e di suo figlio Isacco, di come Dio aveva chiesto ad Abraamo di sacrificare il suo unico figlio (Gen. 22). Dio aveva anche chiesto ad Abraamo di salire sul monte Moria, per compiere quel sacrificio, e dove si trova il monte Moria? Giustamente a Gerusalemme, sopra il quale Salomone aveva poi costruito il tempio (2 Cron. 3:1). Gerusalemme, la città cresciuta intorno al posto scelto da Dio migliaia di anni prima per il compimento di un altro sacrificio.


Nel momento più drammatico del racconto di Abraamo e Isacco, ci viene introdotto un personaggio molto importante, cioè il montone, che Dio aveva portato lì e che Abraamo, come sacerdote, ha sacrificato in sostituzione a Isacco. In quell’evento, Dio aveva risparmiato la vita di Isacco e aveva promesso ad Abraamo “Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza.” Il sacrificio dell’unico figlio di Abraamo, fortunatamente interrotto dall’angelo, non era quindi definitivo. Isacco non era il Messia, non era il figlio giusto di Abraamo per il sacrificio – ce ne sarebbe poi stato un altro, molti secoli dopo, che avrebbe eseguito il ruolo di sommo sacerdote e che sarebbe stato anche effettivamente sacrificato come l’Agnello sostitutivo.


Mentre cavalca l’asino in mezzo alla folla, Cristo quindi indossa entrambe le vesti, quella del re e quella del sacerdote. Il vangelo di Matteo, appunto, esordisce chiamando Gesù “figlio di Davide e figlio di Abrahamo”. Lui ricopre entrambi gli uffici e li riunisce in se stesso. Anche questo era stato profetizzato da Zaccaria nel cap. 6: “regnerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono, e tra i due ci sarà un consiglio di pace.” Cioè, pace tra il ruolo del re e quello del sacerdote, entrambi uniti in Cristo per la prima volta nel popolo di Israele. Gesù Cristo, il Re giusto e salvatore, venuto a vincere al nostro posto il peccato, la morte e il potere del diavolo. Gesù Cristo, il sommo sacerdote e l’Agnello di Dio, l’innocente sostituto provveduto dall’Eterno sul suo monte, sul monte Moria, per morire al posto di ciascuno di noi, come sacrificio propiziatorio davanti a Dio, offrendo il proprio sangue come soddisfazione della giusta ira di Dio per i peccati di tutto il mondo. Questa è la vittoria conquistata da Gesù Cristo, re e sacerdote. Questa è l’eredità eterna che ci viene conferita nel nostro Battesimo. Sono un cristiano battezzato e credo nel vangelo del perdono dei miei peccati per i meriti del sangue di Cristo, e in questo modo ho accesso al regno celeste di Cristo e alla vita eterna che Lui ha acquistato per me. Non sono le mie opere che mi elevano al regno di Dio, ma ciò che Cristo in servizio ha già fatto per me, da re e da sacerdote. E sono queste le cose che il Signore Gesù ha voluto che noi ricevessimo attraverso la fede nel suo Vangelo di salvezza e di perdono, attraverso il Battesimo e la Santa Comunione.


Queste sono le cose che ci ha voluto far capire il Signore Gesù in questo racconto, allo scopo di insegnarci a riconoscerlo nel modo giusto e ad accoglierlo nella Sua umiltà con fede nella Sua Parola, per poi ricevere da battezzati la vita eterna nella Sua gloria. Che il Signore Gesù ci permetta di restare saldi in questa fede fino alla fine, e di entrare poi nel suo regno eterno.


Nel nome di Gesù Cristo. Amen.


Luiz R. Lange - 02/Apr/2022


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