Essere stupiti, meravigliarsi, essere spaventati, non succede tutti i giorni, giusto? Perché, appunto, ciò che ci stupisce è per definizione qualcosa di anormale, straordinario, qualcosa di inatteso.
Per i bambini piccoli, succede spesso di meravigliarsi. Ogni giorno si trovano davanti a delle situazioni e cose che per loro sono motivo per stupirsi, forse anche spaventarsi.
Per gli adulti succede invece più raramente, perché abbiamo magari già visto tutto quello che c’era da vedere intorno a noi, e tutto diventa la normalità. Niente più ci stupisce. Finché non arriva una nuova scoperta scientifica, o un nuovo virus potentissimo, o un nuovo aggeggio elettronico, qualcosa insolita che ci lascia a bocca aperta…
Gesù Cristo appunto era un uomo normalissimo. In tanti l’avevano conosciuto da bambino, l’avevano visto crescere. I suoi discepoli andavano in giro con lui, e lo vedevano stancarsi, a mangiare, a dormire… Da lui nessuno si aspettava alcunché di anormale, di inusitato. I suoi miracoli? La risurrezione del suo amico Lazzaro? Beh, quelli non contavano. Gesù, una volta morto, … nessuno tra i suoi amici e parenti si aspettava di vederlo di nuovo. Erano adulti, avevano già visto tutto. Per loro la morte, e restare morti, era normale. Era la fatidica normalità.
Così anche per le donne, discepole del Signore, le loro normali aspettative erano almeno due: che, essendo quella pietra troppo grande per loro, non sarebbero state in grado di rimuoverla. E che, nell’eventualità che qualcuno di forzuto riuscisse a rimuoverla per loro, il corpo freddo e senza vita del loro Maestro Gesù si sarebbe comunque trovato immobile allo stesso posto dove l’avevano deposto tre giorni prima. Questa sarebbe stata la normalità, la verità basata sulla loro esperienza, fino agli estremi della conoscenza umana.
Ma non tutti erano stati d’accordo su questo punto prima di loro. Abbiamo letto Giobbe, che era vissuto molto prima dei discepoli, e contro tutte le aspettative, contro tutta la logica e l’esperienza di ciascun essere umano, dichiara pieno di speranza e certezza: “25 Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. 26 Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio. 27 Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro.” “Sciocchezze!”, direbbe l’umana logica, giusto? Un morto è morto e rimane morto. Noi guardiamo fino all’orizzonte dell’esperienza umana sulla terra, e pur salendo sul monte più alto, non vediamo fino all’orizzonte alcuna traccia di superamento della morte. La morte è definitiva.
Quindi, come faceva Giobbe a dire una cosa del genere? Era riconosciuto da tutti come un uomo saggio. Sembra che lui avesse delle certezze su delle verità, ma su delle verità non normali. Parla chiaramente di morte, della decomposizione della propria carne, e in un secondo momento, di un ritorno a uno stato di coscienza in cui vedrà Dio con i propri occhi. Ma se prima erano stati decomposti questi occhi, come farà a riaverli intatti? La sua certezza e convinzione si basavano sulle promesse di Dio trasmessegli dai santi profeti. Dio rivelava loro la sua volontà e la verità che sta aldilà del nostro solito orizzonte. Solo perché non riusciamo a vederla, non per questo è meno vera questa verità, quando chi l’annuncia è il proprio Creatore.
E quando poi il proprio Creatore si è fatto carne, ed è diventato uomo, ha portato qui con sé tutte quelle verità che stanno aldilà del nostro orizzonte. Gesù Cristo, un normalissimo uomo, ha comunque la capacità di camminare sull’acqua del mare, di creare il senso della visione in uomini ciechi dalla nascita, di moltiplicare del cibo quasi all’infinito davanti agli occhi di tutti. Cristo aveva fatto uscire dalla tomba il suo caro amico Lazzaro, dopo che era rimasto ben quattro giorni a decomporsi. Queste cose non erano per niente normali!
Ma per coloro che lo vedevano e seguivano tutti i giorni, ciò non era stato sufficiente perché non si stupissero, non si spaventassero, non si meravigliassero, davanti a un altro, più importante, miracolo dei suoi. Per loro, quella pietra davanti alla sua tomba rimaneva ancora troppo grande per essere rimossa, e la morte troppo forte per essere vinta.
Curiosa quella parola “spaventate” nel nostro testo di Marco di oggi. In tutta la Bibbia, viene usata solo quattro volte, e tutte quante nel Vangelo di Marco. La prima, descrive la reazione della gente quando vede Gesù, Pietro, Giovanni e Giacomo che scendono dal monte della trasfigurazione (9:15). La seconda, chi si stupisce (o chi viene preso da timore, nella traduzione che usiamo) è Cristo stesso nel Getsemani, dove era andato a pregare all’inizio della sua Passione, sempre in compagnia di Pietro, Giovanni e Giacomo (14:33). Le ultime due volte che questo verbo viene usato sono proprio nel nostro testo di oggi: le donne rimangono “spaventate”, e poi l’angelo dice loro di “non spaventarsi”.
Le donne si stupiscono perché per loro la morte è la normalità, e anche il restare morti. Ma Gesù si stupisce, si spaventa, si commuove nel Gestsemani, perché per lui la morte è un nemico. E’ un’intrusa. La morte per Gesù non è la normalità.
Come è possibile? San Paolo ce lo spiega nella lettura di oggi. La morte è conseguenza del peccato. Il peccato è il dardo della morte. La forza del peccato è la legge. La legge di chi? Degli uomini? Del diavolo? No, cari fratelli e sorelle, la legge che dà la forza alla condanna del peccato è la legge di Dio. Ed è per questo motivo che questo dardo della morte è così universale, così devastante, perché la sua forza è divina. La morte, alla fine dei conti, è condanna divina su tutti i peccatori. Quindi, non ci stupisce, non ci meraviglia, non ci spaventa il fatto che tutti moriamo. Grazie a Dio, tutti noi quando ci avviciniamo al trono di Dio lo facciamo coscientemente dei propri peccati. E sappiamo che “il salario del peccato è la morte” (Rom. 6:23), dunque nessuna sorpresa per noi qui. Ne siamo consapevoli. Quando uno di noi arriva alla fine della vita, sappiamo benissimo di essere nella normalità. Nella nostra normalità. Perché abbiamo peccato tutti.
Ma non Gesù! In Lui non c’è e non c’è mai stato alcun peccato. E siccome il dardo della morte è il peccato, e siccome la legge che dà forza al peccato è la legge di Gesù Cristo, Dio Figlio incarnato, su di lui la morte non ha mai avuto alcuna forza, perché il dardo della morte su di Lui non ha alcun effetto. Lui la sua vita l’aveva consegnata alla morte volontariamente sulla croce (Giov. 10:18). E aveva tutta l’intenzione e il potere di riaverla il terzo giorno.
Ed ecco che ci siamo! E’ la domenica di Pasqua. CRISTO E’ RISORTO! E’ veramente risorto.
La pietra anche per noi è troppo grande da rimuovere, se ci pensiamo. I nostri peccati sono come quella pietra per le discepole – non saremmo mai riusciti a cancellarli, a rimuoverli da soli. Non c’è rito, non c’è autoflagellazione, non c’è penitenza nostra, indulgenza o tempo in purgatorio che riesca a rimuovere quella pietra troppo grande dei nostri peccati. Perché la forza del peccato non è una qualunque legge umana, che ci permetta quindi di superare, raggiungere, adempiere, ma la sua forza deriva dalla legge di Dio, la cui trasgressione originale abbiamo ereditato tutti quanti dai nostri primi genitori, Adamo ed Eva, e continuiamo purtroppo comunque a peccare tutti i giorni.
Per caso qualcuno di voi crede veramente di poter fare soddisfazione per i propri peccati? Allora non avete ancora capito quanto grande sia quella pietra, quanto vasta sia l’estensione della legge di Dio, quanto pesante sia sugli uomini la condanna per i propri peccati. Quindi, ravvedetevi, e riconoscete l’immensità dei vostri peccati. Perché solo così sarete pronti a stupirvi davanti alla meraviglia di ciò che significa la Domenica di Pasqua. La pietra troppo pesante ci è rimossa da qualcun altro! E’ Cristo il vincitore sulla morte, perché lui ha vinto anche sul peccato e sull’inferno. La morte è stata inghiottita nella trappola della croce. “O morte, dov’è il tuo dardo?” Cioè, il peccato. “O inferno, dov’è la tua vittoria?” Cioè, la nostra morte. E Paolo segue nel suo canto, “Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge.” E per questo motivo il nostro peccato è grande come quella pietra davanti alla tomba di Cristo. “Ma ringraziato sia Dio”, dice Paolo, “che ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo.”
I tuoi peccati sono una pietra troppo pesante per te. Ma non per Gesù Cristo, morto sulla croce, sì, ma poi risorto dai morti. Per lui, i tuoi peccati non sono impossibili da rimuovere. Lui, infatti, è l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. Compresi i tuoi.
Venite, quindi, a meravigliarvi davanti alla tomba aperta e vuota. Davanti a questa anomalia, a questa eccezione miracolosa, possibile soltanto per Colui che ha creato la vita all’inizio di tutto. E ascoltate il dolce messaggio del messaggero angelicale, “Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; è risuscitato, non è qui.” È vero, ciò non succede tutti i giorni. Non avevano infatti ancora visto nessuno che da sé tornasse in vita da una croceffisione. “Ma è risuscitato, non è qui!” La tomba era vuota. L’angelo ha chiesto loro di andare a dire ai suoi discepoli che li avrebbe trovati in Galilea, come Gesù aveva detto loro. Ed è stato così. Gesù aveva predetto loro tutto quanto, ed è poi successo esattamente così.
La tomba è vuota anche adesso. La nostra fede, ciò che crediamo e confessiamo assieme ogni domenica, non è finzione, non si basa su decreti e filosofie varie, ma è ciò che ci è stato detto da Colui che ha vinto la morte per noi.
Quindi non vi spaventate, neanche davanti alla morte. Avvicinatevi anzi all’Agnello di Dio, risorto dai morti. Perché in Lui, nel suo perdono, vedrete ciò che ci aspetta nella sua seconda venuta. Come ci descrive Giobbe, ispirato dallo Spirito Santo di Dio, “Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio. Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro.” E così anche voi, perché la nostra vittoria sulla morte ci è già stata data per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, che vi ama ed è risorto per avervi con sé per tutta l’eternità.
In nome di Gesù. Amen.
Giobbe 19:23-27 -- Salmi 118:15-29
1 Corinzi 15:51-57 -- Marco 16:1-8
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