Ascolta il sermoneProv. 4:10-23; Salmi 119:9-16;
Gal. 5:16-24; Luca 17:11-19
GRAZIA A VOI E PACE DA DIO NOSTRO PADRE E DAL SIGNORE GESÙ CRISTO.
Come forse avrete notato, tutte le letture di oggi inneggiano come fonte di vita la parola di Dio. La parola del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la parola della fede che abbiamo ricevuto in eredità nella sacra Bibbia.
Inoltre, contrastano anche la via della vita eterna con Dio, che è la vita di coloro che hanno fede in Dio e nella sua parola, e il sentiero degli empi, di coloro che abbandonano e rifiutano Dio e la sua Parola.
In Proverbi, la lettura inizia con “Ascolta, figlio mio, ricevi le mie parole.” Abbiamo qui un padre che si dirige al proprio figlio, ma impariamo nel Nuovo Testamento che tutta la Bibbia è Parola di Dio. Gesù nella preghiera che ci ha insegnato ci rivela che suo Padre è anche il nostro, e che lui ci tratta da figli. Come in questi versetti della lettura in Proverbi, dove ci stimola a dargli ascolto, e ci spiega anche il perché:
Figlio mio, fa’ attenzione alle mie parole, porgi l’orecchio ai miei detti; (…) perché sono vita per quelli che li trovano, guarigione per tutto il loro corpo.
(Prov 4,20-22)
L’affermazione che la parola di Dio è guarigione per tutto il corpo diventa specialmente degna di nota quando come lettura del Vangelo abbiamo il racconto dei dieci lebbrosi che vengono miracolosamente guariti mentre seguono un ordine diretto di Dio Figlio, Gesù Cristo, una sua parola particolare per loro.
Il testo in Galati invece ci invita a camminare secondo lo Spirito e ad essere condotti dallo Spirito Santo (molto simile al testo in Proverbi 4, “… non camminare per la via dei malvagi, … ma il sentiero dei giusti è come la luce dell’aurora”). E cosa vuol dire essere condotti dallo Spirito Santo? Vuol dire lasciarsi condurre dalle parole dello Spirito Santo, cioè quelle registrate nella Bibbia e che vi annunciamo ogni domenica. Lì Paolo contrasta il frutto dello Spirito con le opere della nostra natura ancora corrotta dal peccato. Il frutto della vita conquistata da Cristo sulla croce e che ci viene data attraverso l’annuncio della Parola di perdono in Cristo, e nel santo Battesimo e nel Sacramento dell’altare, in contrasto con i desideri malvagi del nostro vecchio Adamo, che vanno contro la Parola dello Spirito Santo e sono il sentiero degli empi.
Abbiamo quindi una ricca selezione di letture bibliche, che ci svelano alcune profonde verità della situazione umana quando è con Dio e quando è senza Dio, e li considera come una questione di vita o di morte.
E questo ci porta al racconto dei dieci lebbrosi. Dieci uomini affetti da una malattia molto grave. La lebbra rendeva visibile sulla pelle di questi uomini la realtà della brevità e della fragilità delle loro vite. Agli occhi di tutti erano come dei morti che camminavano. Nel loro grido “Maestro, Gesù, abbi pietà di noi”, sentiamo la loro preghiera per aiuto. Gesù Cristo li vede come li vedevano anche tutti gli altri, cioè la loro fisionomia deformata dalla malattia sulla pelle. Ma, come Dio, lui vedeva in loro anche la loro corruzione spirituale, una condizione ancora più grave della lebbra. E voleva intervenire su tutti e due i problemi.
Infatti la lebbra è una grave malattia. Deforma la pelle, ma agisce anche sui nervi e può portare alla paralisi. Non è paragonabile alla corruzione spirituale che abbiamo tutti ereditato da Adamo ed Eva, ma poteva servire di analogia. E quando risponde al loro grido, Cristo dice loro di andare a mostrarsi ai sacerdoti. Non avranno capito il perché di quell’ordine, ma l’hanno creduto. Hanno comunque ubbidito quella Parola che sembrava illogica. (v. 14) “E avvenne che, mentre se ne andavano, furono mondati.” Vedete, questo è impossibile se uno considera soltanto le leggi della natura. La voce umana di per sé non ha alcun potere sui batteri, sulle enormi ferite sulla pelle che quella malattia comportava. Eppure, dieci su dieci uomini gravemente ammalati hanno avuto totale guarigione dopo che quell’uomo chiamato Gesù ha dato loro un ordine. Nella fiducia hanno seguito l’ordine che per loro poteva non aver alcun senso, e poi davanti a chiunque esaminasse la loro pelle, l’evidenza era che la malattia era sparita. Erano stati tutti guariti. Dieci su dieci, per il potere della parola di Gesù.
Avranno tutti e dieci saltato di gioia, ma il testo identifica soltanto uno tra di loro che, facendo retromarcia, glorificava Dio ad alta voce, e riconosceva in Gesù l’origine di quel miracolo, ringraziandolo faccia a terra. A Gesù grandemente interessava quel gesto. Perché con il suo ringraziamento lui rendeva visibile ciò che era successo dentro il suo cuore: quel samaritano ha creduto che Gesù era il Messia promesso. E felice per lui, Gesù gli dice: “àlzati e va’: la tua fede ti ha guarito” – fuori, sulla pelle, e anche dentro in cuore per l’eternità. Cristo nella sua gentilezza e amore non punta a se stesso come la causa ovvia della cura avvenuta, ma rende onore alla fede del samaritano. Dimostra così quanto importante sia credere in Lui. E credere in Cristo vuol dire credere nelle sue parole. Non si può credere in Cristo senza anche credere nelle sue parole.
"Figlio mio, fa’ attenzione alle mie parole, porgi l’orecchio ai miei detti; (…) perché sono vita per quelli che li trovano, guarigione per tutto il loro corpo." (Prov 4,20-22)
Poi, c’erano anche gli altri nove guariti. Coloro ripresi da Cristo ad alta voce anche nella loro assenza. Guariti sulla pelle, ma forse ancora mortalmente ammalati nel cuore. Poiché Gesù ha chiesto dove fossero, e perché non fossero tornati da lui a ringraziarlo.
Lutero diceva che per i pagani, l’ingratitudine è il più grande peccato, e rimproverare qualcuno di ingratitudine è il massimo degli insulti. Ma i pagani capiscono i favori a modo loro: “do ut des”. A fronte di un regalo, molte volte nemmeno richiesto, si aspettano una contropartita di misura uguale, altrimenti si sentono trattati ingiustamente. Non viene loro naturale il concetto di regalo come dono gratuito a senso unico.
Invece Gesù ci insegna che la contropartita del dono è il ringraziamento. Nel culto settimanale, il Signore Gesù viene a servirci con i suoi ricchi e molteplici doni, e noi lo ringraziamo per i doni ricevuti. Da parte nostra il culto a Dio lo si rende con la bocca – non tanto con le mani. Con il ringraziamento, appunto. E cosa ci costa il ringraziamento? Un bel niente. Ma a Dio fa molto piacere ricevere da noi il ringraziamento – guardate come Gesù riceve con gioia il samaritano nel testo di oggi, e sottolinea il fatto che gli altri nove non siano tornati da lui per ringraziarlo.
Allo stesso modo sperimentiamo che questo peccato è molto diffuso e colpisce soprattutto coloro che hanno meritato da noi ogni gratitudine, come il padre e la madre, che per i loro figli rischiano la loro stessa vita e onore, i beni e ciò che hanno. Ma come li ricompensano i figli? Che cosa sperimentano da loro? Raramente accade che un figlio, una figlia, sia riconoscente. Quasi tutti i figli sono ingrati e volentieri vedrebbero morire alla svelta i genitori, come il figlio prodigo nella parabola con lo stesso nome, appunto. Anzi, cambio il verbo in questa frase: quasi tutti i figli SIAMO ingrati e volentieri preferiremmo liberarci dai nostri genitori e superiori, invece di essere loro riconoscenti.
Cristo ci insegna con l’esempio del samaritano ad essere riconoscenti. Innanzi tutto a Dio, che ci ha donato tutto quello che abbiamo, a cominciare dalla vita stessa, la famiglia e tutti i beni e benedizioni di giorno in giorno. Ma anche ai genitori, agli amici, ai vicini. È giusto ringraziare per i doni e i servizi ricevuti. Così facendo stimoliamo gli altri a ripetere il bene che hanno fatto. Così come Cristo con il samaritano tornato da lui.
Ma qui impariamo da Cristo anche un’altra virtù: mentre il mondo non sopporta l’ingratitudine, Cristo non si lascia scoraggiare dall’ingratitudine dei nove lebbrosi. Ha invece pazienza. Li rimprovera pubblicamente, come per lasciare un chiaro insegnamento su ciò che non va fatto, ma si accontenta invece che il decimo venga e lo ringrazi. Così anche noi, cristiani, dobbiamo imparare non soltanto a essere riconoscenti e ringraziare, ma anche ad abituarci alla capacità di sopportare l’ingratitudine. Questa capacità ce l’ha soltanto Dio, e ce l’abbiamo anche noi, cristiani, ricevuta dal Signore come dono. Questa è la vera virtù della tolleranza. Cioè la capacità di sopportare i peccati commessi contro di noi. Per il mondo, la tolleranza ha invece un significato molto diverso, mosso dall’amore a se stessi e non al prossimo, un obbligo imposto a noi che ci ferisce la coscienza piuttosto di un sacrificio sollecito e volenteroso, come invece lo è la sopportazione dell’ingratitudine. Ma dal mondo non ci aspettiamo altro. Per cui impariamo da Cristo la longanimità verso gli ingrati, e ci sforziamo per agire e amare come Lui ci ha amati per primo (1 Giov 4:19). Se nel mondo non ci ringraziano dei nostri gesti d’amore, comunque c’è in cielo chi poi ci ringrazierà al posto loro, e questa certezza ci basta. Anche in questo seguiamo il Signore Gesù da buoni discepoli.
Tre cose importanti abbiamo imparato dai testi di oggi. La prima è il valore che Cristo dà alla fede in lui e nella sua parola; la seconda è la virtù del ringraziamento, e la terza la capacità di sopportare l’ingratitudine.
Un esempio di fede ci hanno dato i lebbrosi. Tutti e dieci i lebbrosi hanno dato ascolto alla parola di Cristo per loro, e hanno creduto a quanto aveva detto.
La gratitudine invece ce l’insegna il samaritano, supportato dalla reazione gioiosa di Gesù.
E da Cristo stesso dobbiamo imparare la virtù della sopportazione dell’ingratitudine. Quando facciamo del bene agli altri, che non sia motivo di scandalo il fatto che non ci vengano a ringraziare, o che addirittura rispondano al bene con del male. Che non ci venga in mente di far pagare agli altri quando sprecano il bene che facciamo loro. Dalla croce, ci viene insegnato che Gesù Cristo davanti agli ingrati ha pregato il Padre,
Perdona loro perché non sanno quello che fanno.
(Luca 23:34)
Dio, nostro Signore, ci doni la sua grazia per conservare queste cose, per imparare da loro e cambiare in ciò che Dio ci chiede di essere.
Nel nome di Gesù. Amen.
- Sermone del 10/9/2023 - Luiz R. Lange
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