Es 20:1-17; Sl 19; Ro 6:1-11; Mt 5:17-26
GRAZIA A VOI E PACE DA DIO NOSTRO PADRE E DAL SIGNORE GESÙ CRISTO.
Al ritorno dal nostro viaggio in Lettonia, io e altre due persone abbiamo perso la coincidenza del treno per Padova. Era l’ultimo treno quella sera purtroppo. Ero molto stanco, e si era già fatto tardi. Abbiamo allora deciso di prendere un taxi assieme. Alla guida c’era un simpatico signore, diciamo che si chiamasse Vittorio. Da bravo tassista, ha voluto parlare di tutto e di più, ma anche di se stesso, di politica e di religione. Di libertà, di servitù, e quant’altro.
A proposito di servitù, vale la pena considerare assieme cosa voglia dire. Cosa vuol dire avere un Signore? Vuol dire essere un servo, cioè uno schiavo, che appartiene al proprio signore. Per noi, che viviamo in una società libera, da liberi cittadini, è forse un concetto un po’ difficile da capire, o da accettare. Ma se pensiamo all’inizio del Credo che abbiamo appena recitato, noi e tutto l’universo, abbiamo un unico Creatore, un unico Signore, a cui apparteniamo di diritto. Ivi compresi i santi angeli e anche gli angeli caduti, che non hanno alcun apprezzamento per Dio. L’Iddio Triuno è Signore su tutto e tutti, nel senso che senza di Lui, noi tutti nemmeno esisteremmo. Quindi, in pratica, un Signore su tutti c’è, e noi tutti, per esclusione, siamo per natura i suoi servi.
Ma il testo di Esodo 20 che abbiamo letto oggi dipinge due tipi di servi del Signore Dio: ci sono quelli che lo odiano, e anche quelli che lo amano. Che differenza c’è tra di loro? Il testo stesso ci dice che coloro che lo amano come Dio e Signore guardano i suoi comandamenti. Ubbidiscono alla sua volontà. Accettano la propria vocazione di servi e seguono la sua legge.
E gli altri? Gli altri invece sono dei ribelli.
Cosa vuol dire essere un ribelle? Un ribelle è un servo che rifiuta il suo signore. Un servo che non cammina secondo la propria vocazione. Vuol dire essere comunque sotto l’autorità del proprio signore e appartenere ad esso, ma senza volerlo. Un servo che vuole sfuggire all’autorità, alla volontà del suo signore, alla sua legge. Un servo che non vuol essere un servo, o almeno non un servo del suo vero signore, ma magari vuol essere il servo di qualcun altro, il servo di un signore diverso.
Ma esistono altri signori a livello spirituale? Possiamo appartenere ad un altro signore, che non sia il vero e unico Dio? Certo che sì. Cosa dice il testo di Esodo 20[:5] riguardo ai falsi dèi? “… e non li servirai.” Cioè, non servirai gli altri dèi. Non fatevi diventare servi di qualcun altro. Perché se non siete i servi del vero Dio, siete per forza i servi di qualcun altro. Servi di altri dèi, cioè falsi dèi. Falsi signori. Non è la servitù di per sé, né la schiavitù, il problema – essere un servo è una vocazione di per sé buona alla fine dei conti, e anche inescapabile. Il problema è avere il signore sbagliato.
E come faccio a capire se il signore a cui servo è sbagliato? Se il mio dio è falso? Lo si capisce dalla legge del signore che serviamo.
Vittorio, il tassista, pensava che, tutto sommato, lui fosse a posto con Dio. Diceva, “Quest’anno festeggio due anniversari, il cinquantesimo di matrimonio e il cinquantesimo da tassista. Non rubo, non ho ucciso nessuno. Faccio sempre del mio meglio. Sì, io sono in pace con Dio.” Nella sua valutazione, nei suoi calcoli, Vittorio ha guardato se stesso, quello che aveva fatto e lasciato di fare, e ne era abbastanza contento. Per cui secondo lui anche Dio lo dovrebbe essere. Ma è giusta la sua valutazione?
L’avevo ascoltato con attenzione, e nel quadro di se stesso che mi aveva dipinto non ho sentito nominare Gesù Cristo neanche una volta. Vittorio era sicuro della propria salvezza, al punto che non gli serviva nemmeno un Salvatore. Spesso cadiamo anche noi in trappole simili. C’è chi dice “Io non bevo, non fumo, non vado in discoteca. Faccio tutto quello che devo fare. Sono a posto con Dio.” Altri dicono “Ho aiutato Tizio e Caio, ho dato l’elemosina a questa e quell’altra persona bisognosa, partecipo a varie attività di volontariato. Sono a posto con la mia coscienza. Dio sarà sicuramente fiero di me.” E sentiamo ancora tante altre valutazioni del genere. Ma stranamente l’ago della bilancia sembra di essere sempre a nostro favore. Sembrerebbe infatti che, ‘se fosse per me e per te, non ci sarebbe stato motivo per scomodare Gesù dal cielo e farlo patire e morire al posto nostro.’
Ma Gesù nel testo di oggi dimostra di avere un punto di vista diverso dal nostro. Lui rivela ai suoi discepoli che la legge del vero Dio e Signore su tutti ha delle implicazioni che vanno oltre alla superficialità delle nostre autovalutazioni. Dio ci perlustra in profondità le motivazioni e il cuore, e ci rivela che siamo lontani dalla perfezione che Lui richiede.
Nei versetti che seguono il testo del Vangelo di oggi, in una sezione che tratta dell’adulterio, impariamo da Gesù che noi pecchiamo contro i suoi comandamenti non solo quando agiamo con il nostro corpo, ma anche quando lo facciamo con i soli pensieri e i desideri del cuore.
Il tassista Vittorio è una brava persona. Inattaccabile dal punto di vista morale. Ma Gesù Cristo ci dice nel Vangelo di oggi, in San Matteo 5: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei,” che erano all’epoca delle brave persone, inattaccabili, … “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli.” Parlava ai suoi discepoli. E lo stesso vale per noi. Perché nel profondo dei nostri cuori, abbiamo ancora attaccata a noi la nostra vecchia natura umana, che vuole far da padrona del nostro cuore, in diretta competizione con il nostro Signore Gesù Cristo.
Prima del nostro Battesimo, prima della nostra conversione, invece, la nostra vecchia natura umana peccaminosa, il vecchio Adamo, non doveva competere con nessuno. Il peccato regnava indiscusso nel nostro cuore. Il senso c’era già della giustizia, della rettitudine, di ciò che è giusto e sbagliato. Ma o non ci importava proprio per niente, o pensavamo invece di avere il massimo dei voti a conti fatti, e in questo potevamo contare con la totale collaborazione degli altri nostri nemici, il diavolo e il mondo intorno a noi che non vuole conoscere Dio. Ad ogni modo, lì a regnare non c’era Cristo, ma qualcos’altro. La natura umana di suo, fin dalla caduta nel peccato originale, non ha più alcun potere per alzarsi da sola dal pantano di peccato e ribellione contro il vero Dio, la ribellione in cui siamo tutti nati. E per i ribelli la destinazione è ben precisa: la prigionia. La prigione eterna era la nostra destinazione certa.
Cosa capiamo quando siamo davanti a una prigione? Capiamo che c’è effettivamente un’autorità, un Signore, a cui la prigione appartiene. Che quel signore ha stabilito una legge, che si deve seguire. Lui è Signore anche sulla prigione. Capiamo anche che la prigione è destinata ai ribelli, cioè a coloro che non seguono la legge del Signore.
Gesù dice: “se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli.” E dice anche: “In verità ti dico, che non uscirai di là finché tu non abbia pagato l'ultimo centesimo.” La condanna per la mancanza di perfezione è la pena capitale, l'ergastolo, la morte eterna.
Nel Salmo di oggi abbiamo sentito che “La legge dell’Eterno è perfetta.” Il vero Dio è un Dio giusto. Ma possiamo ringraziarlo, poiché oltre ad essere giusto, il nostro Dio è anche pieno di misericordia. Ed ecco come lo ha dimostrato. L’asticella della giustizia richiesta e del pagamento dovuto non si è mai abbassata dal livello di perfezione. Ma nella sua giustizia, e nel pieno del suo amore per noi, ha escogitato un piano che da un lato validasse e confermasse la sua legge, ma che ci avrebbe anche spalancato per sempre le porte della prigionia del peccato e dell’inferno.
Dio Padre ha incaricato Dio Figlio, come il suo inviato, di essere il nostro sostituto sul patibolo. Sì, è vero, eravamo tutti diretti alla condanna eterna. Ma Cristo, Dio Figlio nato in carne e sangue dalla vergine Maria, discendente di re Davide, da vero uomo e vero Dio si è fatto servo per noi, si è interposto con la sua perfetta giustizia tra noi e la giusta ira divina, e si è dato alla morte, in sacrificio per tutti. La sua vita, il suo sangue, aveva un prezzo altissimo, perché è il sangue di Dio, e lui l’ha versato per tutti noi.
Vedete? Lui aveva detto che
non saremmo usciti dalla prigione dei peccatori ribelli finché non
avessimo pagato l’ultimo centesimo. Quell’assegno però lo ha
versato lui stesso per noi. Lui aveva detto che, se la nostra
giustizia non
superasse quella degli scribi e dei farisei, non saremmo entrati
affatto nel regno dei cieli. E cosa aveva profetizzato Geremia nel
capitolo 23 del suo libro (v. 5-6), rispetto al discendente di
Davide, il Salvatore di Israele, che sarebbe poi un giorno nato? Che
il nome con cui verrebbe chiamato sarebbe “L'Eterno, nostra
giustizia”. La sua perfetta giustizia è diventata nostra. Adesso
abbiamo gratuitamente in regalo “la giustizia che supera quella
degli scribi e dei farisei” – la giustizia di Cristo è diventata
nostra! – e possiamo dunque entrare nel regno dei cieli. Cristo ha
preso su di sé i nostri peccati, perché il corpo del nostro peccato potesse essere
annullato e affinché
noi non serviamo più al peccato.
Ha portato tutti i nostri peccati sulla croce, li ha infilzati sul
legno, e li ha lasciati lì, appesi. Pagati. Cristo ci ha ricomprati.
Fino all’ultimo centesimo.
Ed è stato nel nostro Battesimo che Cristo ci ha consegnato questo immenso regalo. Come ha spiegato oggi San Paolo in Romani 6, nel Battesimo noi siamo morti assieme a Cristo sulla croce. Abbiamo partecipato con lui della morte del nostro vecchio Adamo, “perché il corpo del peccato possa essere annullato e affinché noi non serviamo più al peccato” (v. 6). Quindi “morti con Cristo… morti al peccato”. E “viventi a Dio, in Gesù Cristo, nostro Signore.”
Lui ci ha portato con sé nel nostro Battesimo a morire al peccato. Ci ha liberati dalla schiavitù di questo falso signore, il peccato, ci ha perdonati, e ha ristabilito l’ordine buono delle cose. Abbiamo per grazia divina un nuovo e giusto Signore della nostra vita, Gesù Cristo, il nostro Redentore.
E adesso? Chiedo a ciascuno di voi. L’ho chiesto a me stesso, e anche a Vittorio, il tassista, quel giorno. A chi vogliamo servire? Vi ricordate che i ribelli sono quei servi di fatto che però non vogliono stare sotto il vero Signore? E’ una questione anche di volontà, di desiderio. Ma nel Battesimo il dono dato dal Signore Gesù comprende anche quello del suo Spirito Santo, che agisce sulla nostra volontà, e ci fa amare la sua legge, la sua signoria su di noi. Paolo dice: “Noi dunque siamo stati sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, così anche noi similmente camminiamo in novità di vita.” “Non serviamo più al peccato”. Fin qui San Paolo.
Non più ribelli! Affermiamo assieme nel Credo di avere come Signore quello giusto: “e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore.” Colui che ha pagato con il suo prezioso sangue per riaverci con sé. Fino all’ultimo centesimo. Sangue questo che, assieme al suo corpo, ci viene ora offerto da bere, prezioso che è, potente per preservarci nella vera Fede, costanti nella pratica del suo amore nelle nostre vite.
Il Signore Gesù ci conceda che questi doni non ci vengano mai a mancare.
Nel nome di Gesù Cristo.
Amen.
Commenti
Posta un commento